Quando la perfezione diventa un problema

perfezione psicologo ferrara

Sicuramente sarà capitato ad ognuno di noi di sentirsi dire “Non ti sei impegnato abbastanza” o “Potevi fare di più”. Spesso queste frasi arrivano dai genitori, talvolta dagli insegnanti, i quali desiderano spingerci a perfezionare le nostre prestazioni cosicché possiamo raggiungere obiettivi sempre migliori e più elevati.
Capita poi che, soprattutto crescendo, diveniamo noi stessi ad utilizzare espressioni quali: “Potrei fare meglio” o  “Potevo fare di più”, anche quando nessuno ci chiede né di fare meglio né di fare di più.

Si potrebbe dire che questo modo di ragionare derivi da una sorta di impulso interiore a mantenere alte le “asticelle” degli obiettivi e della resa, sia per se stessi sia per ottenere o conservare l’approvazione degli altri.
Si parla di perfezionismo. Di cosa si tratta: di un’attitudine positiva al miglioramento personale o a qualcosa che sfocia nel patologico? Oggi possiamo rispondere che il perfezionismo può essere entrambe le cose.
Inizialmente teorici e ricercatori tendevano a considerare il perfezionismo come un tratto di personalità unidimensionale, disfunzionale e alla base di numerose patologie psicologiche. Più recentemente si è iniziato invece a distinguere tra due tipi di perfezionismo: il primo fa riferimento ad una forma “sana” ed adattiva, nella quale la persona ha la tendenza a migliorarsi al fine di raggiungere più obiettivi nella propria vita; l’altro si riferisce ad una forma disfunzionale e legata a disagi emotivi tali da compromettere il rendimento individuale. Si tratta di un perfezionismo patologico, da alcuni autori chiamato anche “perfezionismo clinico” (Egan e coll.), proprio per rimarcare l’accezione patologica della continua autovalutazione dei propri standard che diventano via via sempre più elevati ed autoimposti.

Perfezionismo: una definizione

Con perfezionismo patologico intendiamo dunque quella tendenza a pretendere da se stessi (o dagli altri) standard di comportamento talmente elevati da divenire irragionevoli e ben al di sopra delle possibilità di raggiungimento. Di fronte a tali obiettivi e al forte desiderio di perfezione, le persone si affanneranno per raggiungerli e mantenerli.
Gli psicologici Flett e Hewitt parlano di 3 principali dimensioni di perfezionismo:

1) Autodiretto: la persona si valuta con eccessiva severità, ha degli standard personali autoimposti ed irrazionalmente elevati e quindi impossibili da realizzare, tanto da portarlo a vivere nella frustrazione ed in un costante stato d’ansia.
2) Eterodiretto: la persona pretende che gli altri si adeguino ai suoi standard, irrazionalmente elevati, di comportamento. Egli sarà estremamente rigido nella valutazione dell’altro, tanto da portarlo spesso all’incapacità di avere sane relazioni interpersonali (sia in ambito professionale che personale).
3) Socialmente imposto: la persona pensa che gli altri abbiano, nei sui confronti, delle aspettative eccessivamente alte e che per poter ottenere l’approvazione sociale, egli debba soddisfarle. Ciò può comportare lo sviluppo di sintomi depressivi e ansiosi.

Ma chi è il “perfezionista patologico”?

Egli si caratterizza per molteplici aspetti che possono essere raggruppati in due fattori:

1) Aspirazioni perfezionistiche: ricerca dell’impeccabilità, definizione di standard elevatissimi e non realistici sia per se stessi che per gli altri, rigida organizzazione e pianificazione anticipatoria.
2) Preoccupazioni perfezionistiche: valutazione eccessivamente critica di se stessi, dubbi sulle proprie prestazioni, sulle proprie capacità e sui propri comportamenti, tendenza a rimuginare sui propri errori, ricerca continua dell’approvazione degli altri, percezione di elevate aspettative da parte dei genitori.

Il perfezionista può quindi distinguersi per:

– standard personali irragionevoli e sforzo continuo per raggiungerli;
– esagerata preoccupazione di commettere errori;
– aspettative e critiche eccessive da parte dei genitori o di altre figure di riferimento;
– bisogno eccessivo di organizzazione;
– autovalutazione eccessivamente severa;
– valutazione dei risultati o come “totale successo” o come “totale fallimento” e, in quest’ottica, gli errori che vengono commessi, vengono interpretati come indicatori di fallimento;
– timore delle critiche;
– tendenza a credere che gli altri abbiano aspettative elevate nei suoi confronti;
– insicurezza: presenza di dubbi continui sulle proprie capacità;
– senso continuo di fallimento e vergogna;
– indecisione con conseguente tendenza a procrastinare;
– comportamenti orientati al controllo, non solo dei comportamenti e delle azioni, ma anche di emozioni e pensieri.

Il perfezionismo patologico è spesso associato allo sviluppo di psicopatologie quali: disturbi d’ansia, stati depressivi e disturbo ossessivo-compulsivo (DOC).

Psicoterapia del perfezionismo patologico

Da un punto di vista terapeutico in letteratura vengono riportati buoni risultati con l’applicazione di un approccio psicoterapeutico che accompagni la persona, in primis, a riconoscere il proprio perfezionismo come un problema. Partendo da questo sarà possibile lavorare sia sulle credenze perfezionistiche che sui comportamenti conseguenti disfunzionali così da “ristrutturarli” al fine di innescare un cambiamento funzionale.
Un altro approccio che ha ottimo risultati si avvale della Mindfulness per gestire le componenti cognitive (i pensieri) ed emotive legate al perfezionismo.
Quest’approccio si basa sulla consapevolezza senza giudizio e sul divenire consapevoli dei propri pensieri e delle proprie emozioni per quello che sono, così come sono, focalizzandosi sul “qui ed ora” e non sul passato o sul futuro.

Image by freepik.com

Condividi questo post!