Ritirarsi dalla vita sociale

hikkomori psicologo ferrara

Cosa significa “Hikikomori”?

Questa parola, che deriva dal giapponese, vuol dire “stare in disparte” ed è una condizione psicosociologica che si caratterizza per un comportamento di ritiro sociale

  • grave: rimanere in casa senza aver nessun tipo di contatto diretto con il mondo esterno)
  • prolungato (quasi tutti i giorni per almeno 6 mesi, ma può durare fino a diversi anni).

Il primo autore ad aver descritto la Sindrome di Hikikomori è stato lo psichiatra giapponese Saito, nel 1998, descrivendo gli Hikikomori come <<coloro che diventano reclusi nella propria casa>>, riferendosi soprattutto a giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni.

La Sindrome di Hikikomori è quindi un grave disagio adattivo sociale, primariamente segnalata e studiata in Giappone, che sembra ad oggi diffondersi in altri paesi economicamente sviluppati, tra i quali, appunto, l’Italia.
Il giovane Hikikomori
– rimane principalmente a casa, chiuso nella propria stanza;
– non può o non svolge attività sociali come andare a scuola o lavorare;
– può non avere amici stretti oppure può avere amici intimi, ma non mantiene contatti con loro durante il ritiro
sociale;
– può mantenere relazioni personali alternative “superficiali” e meno impegnative con gli altri (ad es. amici
online).

Secondo alcuni autori possono essere identificati due sottotipi di comportamento di ritiro sociale:

1) Sottotipo “hard core”: i giovani non lasciano mai la loro stanza, isolandosi totalmente dal mondo esterno, evitando di parlare anche con le proprie famiglie;
2) Sottotipo “soft”: i giovani occasionalmente lasciano la propria stanza ed escono per parlare con gli altri.

L’età di esordio può variare da 20 a 27 anni, ma i sintomi prodromici sono rilevabili già durante l’adolescenza.
In alcuni studi emerge che alcuni disturbi psichiatrici compaiano spesso in associazione alla Sindrome di Hikikomori: psicosi, disturbo d’ansia sociale, disturbo evitante di personalità, disturbi depressivi, disturbo da stress post-traumatico e dipendenza da internet (Kato et al. 2019; Pozza et al., 2019; Kondo et al., 2013; Kaneko, 2006). Tuttavia ad oggi non è ancora chiaro se a dare origine all’Hikikomori siano quei disturbi psichiatrici o se sia l’Hikikomori, invece, la causa di questi.

Nella sindrome di Hikikomori entrano in gioco inoltre alcuni fattori interculturali e familiari che sembrerebbero avere un ruolo rilevante nell’insorgenza della patologia. I fattori di rischio interculturali riguardano principalmente gli effetti che hanno, sul ragazzo, la struttura sociale di appartenenza (appartenenza a contesti di famiglie abbienti), le aspettative scolastiche e accademiche (livelli elevati di istruzione sia dei genitori che del ragazzo), le eventuali etichettature e/o pregiudizi e il contesto scolastico (bullismo) (Furuhashi T. et al., 2013; Hofman SG et al., 2010). I fattori di rischio familiari che sono stati valutati come coinvolti nella comparsa dell’Hikikomori sono: aver subito il lutto di un membri importante della famiglia, presenza di una famiglia frammentata o disfunzionale, presenza di una condizione di abbandono o di abuso, attaccamento di tipo insicuro, mancanza di un rapporto di fiducia e di comunicazione funzionale tra genitori e figli (Krieg A et al., 2013; Borovoy A et al., 2008; Teo AR et al., 2010).

Come intervenire con i ragazzi Hikikomori?

La famiglia svolge un ruolo molto importante nell’individuazione del ritiro sociale dei propri figli e proprio per questo diventa altrettanto importante coinvolgerla nel trattamento. La presa in carico del paziente con sindrome di Hikikomori non coinvolge quindi solo il ragazzo, ma tutta la famiglia.
Infatti da una parte si lavora con il figlio e dall’altra si lavora con i genitori. Diventa un lavoro psicoterapeutico tutt’altro che semplice. Per quanto riguarda la psicoterapia con il giovane Hikikomori, il primo punto non è quello di fare uscire il ragazzo fuori dalla stanza. Lo psicoterapeuta dovrà essere “flessibile”, andare a trovare il giovane lì dove si trova, nel suo luogo di reclusione, mettendo in gioco competenze per iniziare a creare, come prima cosa, un rapporto di fiducia e alleanza reciproca. Solo successivamente si potrà lavorare su una ristrutturazione dei pensieri e delle credenze su se stessi disfunzionali e sul ritornare a vivere nell’esterno, attraverso esercizi mirati di graduale esposizione.

Per quanto riguarda la presa in carico psicologica della famiglia, diventa fondamentale come primo punto sostenerli e lavorare sui sentimenti, che spesso emergono, di auto-condanna, eseguendo psico-educazione familiare.
Quest’ultima ha lo scopo di facilitare la comprensione della Sindrome di Hikikomori e di dare suggerimenti per sostenere ed accompagnare al meglio il proprio figlio nel percorso psicoterapeutico.

Foto Masha Raymers da Pexels

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