Biofeedback: cos’è, come funziona…
Nell’immaginario comune la psicoterapia è prevalentemente pensata come un approccio, naturalmente professionale, basato sul dialogo, sulla conversazione e sull’ascolto. Questo è senz’altro vero, ma non sufficiente a descrivere che cosa è la psicoterapia. Essa si fonda sul concetto di relazione, di fiducia e di alleanza terapeutica. É una relazione che cura: attraverso una serie di incontri con uno specialista con formazione specifica, si attuano una serie di tecniche e pratiche volte al trattamento di diversi disturbi specifici o al miglioramento del benessere della persona.
Una di queste tecniche è il biofeedback.
Di cosa si tratta?
Il biofeedback è una procedura di autoregolazione psicofisiologica.
Questa tecnica nasce negli anni ’60 basandosi sul concetto di feedback formalizzato durante la seconda guerra mondiale nell’ambito della cibernetica (Charles F et al., 1985).
La psicofisiologia applicata ed il biofeedback nascono inizialmente come strumenti ed oggetti di indagine scientifica sperimentale (in particolare in studi di efficacia) per poi allargare l’ambito di applicazione ad interventi di tipo clinico multidisciplinare, abbracciando quindi approcci medici, psicologici/psichiatrici, fisioterapici, etc. (Amar PB, 1993). In altre parole viene sempre più utilizzato come trattamento alternativo o complementare volto al miglioramento di diverse condizioni cliniche.
Come funziona il biofeedback?
Il biofeedback è un metodo di trattamento che si basa su principio dell’autoregolazione dei processi corporei.
Nel biofeedback si monitorano sistematicamente alcuni aspetti del funzionamento fisiologico della persona. Per fare ciò si utilizzano apparecchiature elettroniche non invasive che trasformano il segnale fisiologico che rilevano (p.es. frequenza cardiaca, temperatura corporea, etc.), in un segnale che la persona sia in grado di comprendere ed interpretare. Si tratta spesso di un segnale visivo o uditivo.
Perché la persona deve imparare a riconoscere e comprendere questi feedback?
Lo scopo è che impari a controllare le proprie risposte fisiologiche interne: la persona viene “addestrata” ad avere il controllo su diverse funzioni fisiologiche correlate al disturbo che si vuole trattare, per esempio attraverso l’apprendimento di tecniche di rilassamento. La persona impara, cioè, a modulare le reazioni fisiologiche del proprio sistema nervoso autonomo e centrale in relazione ai proprio stati affettivi e cognitivi (Rimm DC et al., 1979).
Il fatto di ricevere dei feedback uditivi o visivi, aumenta la consapevolezza delle persone riguardo o propri processi fisiologici. Ciò si traduce in un apprendimento più efficace di metodiche volte alla modifica di quei pattern fisiologici legati a certi comportamenti, pensieri ed emozioni: ad esempio modifica della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, etc.. L’obiettivo finale è che questo cambiamento possa mantenersi in tutte le situazioni anche esterne al setting clinico (Tan G et al., 2016; Schwartz MS, 2010).
Quali sono gli ambiti di applicazione?
Esistono diverse applicazioni cliniche del biofeedback (Blumenthal JA et al., 1988; Grazzi L et al., 1993; Arena JG et al., 1995; Sattar FA et al., 1999), ad esempio:
– ansia e stress
– depressione
– dolore cronico
– mal di testa
– incontinenza
– balbuzie
– trattamento del disturbo di attenzione ed iperattività
– sindrome di Tourette
– miglioramento della performance sportiva (Maman P et al., 2012; Lagos L et al., 2011).
Il biofeedback è un efficace trattamento non farmacologico applicabile in diverse situazioni cliniche, spesso in associazione ad altri trattamenti medici più tradizionali.
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