Che disgusto!

disgusto psicologo ferrara

Quante volte girando per strada abbiamo visto cose che ci hanno fatto esclamare <<Bleah, che schifo!>>. Escrementi, insetti, cibo andato a male, etc. Ma che cos’è il disgusto?

Come per le altre emozioni, anche per il disgusto vale il concetto che si tratti di un’emozione fondamentale e a scopo adattivo. Il disgusto influenza il nostro comportamento e le nostre interazioni sociali: la selezione di ciò che mangiamo, i vestiti che indossiamo, la scelta della musica… ma non solo, anche la scelta del partner sessuale o delle pratiche sessuali, la scelta degli amici o dei gruppi sociali e, più in generale, può arrivare ad influenzare i nostri concetti di moralità (Chapman HA et al., 2012).

Diversi tipi di disgusto

Il disgusto è qualcosa che va al di là del “provare ribrezzo” verso qualcosa; esso sembrerebbe avere un base genetica. Seguendo la prospettiva evolutiva, il disgusto ci permette di evitare agenti patogeni, contaminanti o tossine.

L’evitamento umano delle situazioni o di tutte le minacce infettive è motivato dall’emozione stessa del disgusto (Curtis V, 2007). Anche Darwin si occupò di disgusto definendolo come “una sensazione riferita a qualcosa di rivoltante, principalmente in relazione al senso del gusto, come effettivamente percepito o vividamente immaginato; e secondariamente a tutto ciò che provoca una sensazione simile, attraverso l’olfatto, il tatto e persino la vista”.

Con il termine disgusto non ci si riferisce solo a stimoli legati al cibo (come, ad esempio, la carne in putrefazione), ma anche al corpo (p.es. odore di sudore, lesioni fisiche, feci, capelli sporchi, etc.) e ad alcune pratiche sessuali (p.es. incesto, pedofilia, coprofilia, etc.). Sempre secondo la visione evolutiva, il disgusto assume un “significato morale”. In che senso?

Secondo Tyber il disgusto morale ci permette di evitare di instaurare relazioni sociali con le persone che, attraverso comportamenti estremi (come stupri, omicidi, pedofilia…) o trasgressioni “minori” (come furti, bestemmie, menzogne…), violano le norme sociali. In altre parole il disgusto entra in gioco (cioè è una risposta emotiva) quando dobbiamo valutare se un’azione è eticamente accettabile oppure no (Ivan CE, 2015; Tybur JM et al., 2013).
Da uno studio di Rozin e coll. del 1994 è emerso che il disgusto è legato a 7 tematiche diverse: morte, igiene, animali, rifiuti corporei, sesso, magia simpatica, abusi o violenze fisiche, prodotti alimentari. Questi tipi di stimoli suscitano disgusto perché agiscono sia come “promemoria” della nostra vulnerabilità e mortalità, sia come sistema di protezione verso tutti quegli agenti o situazioni pericolose in termini di avvelenamento, contaminazione o minaccia del proprio ordine morale (Haidt J et al., 1994).

Tybur e coll., in uno studio più recente, hanno ampliato questo concetto ipotizzando che il disgusto è una risposta a 3 problemi adattivi:

  • prevenire le infezioni;
  • ottimizzazione della scelta del partner;
  • regolazione del comportamento sociale degli altri attraverso la punizione e/o l’evitamento (Tybur et al., 2009).

Il disgusto prevede l’utilizzo di numerosi meccanismi cognitivi rapidi e flessibili: riconoscimento, memoria ed apprendimento (per regolare l’esposizione agli agenti patogeni) e cognizione sociale (fondamentale per il riconoscimento e l’apprendimento sociale). Tutto ciò implica l’utilizzo di tutte le informazioni che un individuo ha accumulato attraverso le precedenti esperienze sociali e l’osservazione degli altri individui e di “aggiustare” il proprio comportamento in base all’ambiente sociale in cui si ritrova (Choleris et al., 2009).

In conclusione possiamo vedere il disgusto come un sistema affettivo che si è evoluto da un lato per proteggerci da agenti patogeni, tossine e parassiti, dall’altro per “guidarci” in tutte le nostre funzioni sociali. Il disgusto serve sia per proteggerci dalla consapevolezza della nostra “origine” animale e della nostra mortalità sia per il mantenimento di un ordine morale (Menninghaus W, 2003; Rozin P et al., 1999; Haidt J et al., 1994; Rozin P et al., 1987).

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