L’uso della Realtà Virtuale (VR) e del neurofeedback nella gestione dell’ansia
Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2017, i disturbi d’ansia ed i disturbi depressivi sono i più comuni disturbi mentali che si registrano nella popolazione e sembrerebbero coinvolgere, a livello mondiale, circa 264 milioni di persone (Lahousen et al., 2018; OMS, 2017).
Questo è un dato che ripeto spesso ai miei pazienti, soprattutto durante i primi colloqui, quando li vedo “tormentati” da un sentimento di angoscia e dai continui pensieri del tipo “perché proprio a me?” ,“non guarirò mai vero?!” e “perché non sono capace di stare bene come gli altri?!”.
E non lo dico tanto per, o perché il mal comune è mezzo gaudio, ma per impedire che la persona si senta stigmatizzata o diversa e per trasmettere l’idea che provare ansia o depressione non è un fatto solitario né, tantomeno, raro.
Si stima infatti che circa il 34% della popolazione mondiale sia affetto da un disturbo d’ansia. L’ansia che, ad un certo punto della vita, per i motivi più diversi, può arrivare e interferire negativamente sul normale funzionamento di vita della persona (Bandelow et al., 2015).
Pur avendo già descritto in diversi altri articoli che cos’è l’ansia e quali sono i sintomi che la accompagnano, in linea generale possiamo ribadire (rifacendosi al Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – DSM-V) che l’ansia si caratterizza per:
- uno stato di costante allerta
- presenza di eccessive e persistenti preoccupazioni sproporzionate rispetto al pericolo reale
- presenza di sintomi fisici “tipici”, quali tremori, tachicardia, “fame d’aria”, senso di “annebbiamento mentale”, etc.
La regolazione delle emozioni
Diversi studi indicano un’associazione tra regolazione delle emozioni ed ansia, sottolineando come i disturbi d’ansia rientrino tra i disturbi nella capacità di regolazione emotiva (Yen et al., 2017; Amstadter, 2008). Che cosa si intende per regolazione delle emozioni? Rifacendosi al modello di processo sviluppato dallo psicologo James J. Gross nel 1998, è possibile definire la regolazione delle emozioni come la capacità di utilizzare strategie consce ed inconsce per aumentare, mantenere o diminuire le diverse componenti della risposta emotiva. Queste componenti sono: sentimenti, pensieri, risposte fisiologiche e risposte comportamentali. Esistono diverse strategie di regolazione delle emozioni che si distinguono in base a quando si attivano: strategie di regolazione emotiva che si attivano prima dell’emozione stessa e, per contro, strategie che si attivano dopo.
Tra le strategie le più comuni sono: la rivalutazione cognitiva e la soppressione emotiva.
La prima precede lo stimolo attivante e porta la persona a rivalutare il significato che egli associa alla situazione con conseguente modificazione dell’emozione vissuta dall’individuo. La soppressione emotiva, invece, si concentra sulla risposta e ha l’obiettivo di modificare il comportamento della persona, ma senza modificare o ridurre l’esperienza emotiva negativa vissuta dalla persona (Gross et al., 2003; Gross, 2001; Gross, 1998). Per questo motivo questa strategia è considerata disadattiva e ha un impatto negativo sul funzionamento sociale, affettivo e cognitivo della persona.
Normalmente quando proviamo un’emozione avversa, mettiamo in atto un tentativo di autoregolazione emotiva al fine di trasformare il nostro “sentito” da negativo a positivo (o neutro). Quando però vengono utilizzate delle strategie di regolazione emotiva disadattivo, ciò che otteniamo potrebbe non essere effettivamente quello che desideriamo. Questo è ciò che avviene, per esempio, nel caso degli stati ansiosi.
Un nuovo approccio nel trattamento dell’ansia
Secondo la letteratura, il trattamento dei disturbi d’ansia può prevedere terapie sia di tipo farmacologico che non farmacologico (Love et al., 2019; Antai-Otong, 2016; Bandelow et al., 2015). In particolare, per ciò che riguarda questi ultimi, le linee guida internazionali raccomandano la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), le tecniche di rilassamento, la psicoeducazione e la mindfulness.
Tuttavia negli ultimi anni sono emersi nuovi approcci, altrettanto efficaci, per il trattamento dell’ansia.
Tra questi troviamo il neurofeedback associato alla Realtà Virtuale (VR) (Colombo et al., 2019; Hadley et al., 2019; Kaur et al., 2019; Blaskovits et al., 2017; Sitaram et al., 2017; White et al., 2017; Reiter et al., 2016).
Il neurofeedback è un trattamento non invasivo che si basa sull’interazione cervello-computer e, attraverso l’esposizione a giochi di difficoltà crescente, consente alle persone di allenarsi ed imparare ad ottimizzare la propria attività cerebrale, modificando i biomarcatori funzionali che sono correlati al particolare disturbo (Batai et al., 2019).
Le sessioni di neurofeedback vengono ripetute per il numero di volte previste dal protocollo al fine di creare o rafforzare le connessioni e i percorsi cerebrali. Queste modificazioni a livello cerebrale hanno poi delle ripercussioni positive sia sull’autoregolazione emotiva che sul comportamento che la persona prova e mette in atto.
Per rendere interessanti e accattivanti le sessioni di allenamento del neurofeedback, è possibile combinare questa tecnica con l’utilizzo di videogiochi (Wang et al., 2018; Connoly et al., 2014). Naturalmente si tratta di giochi costruiti ad hoc e che non hanno il solo scopo di intrattenere la persona, ma sono pensati per misurare i parametri fisiologici del paziente e per adattarsi al paziente. In che modo? Creando scenari diversi, con meccaniche del gioco diverse o con difficoltà crescenti al fine di “chiedere” alla persona di adattare e mantenere quello stato fisiologico “obiettivo” del trattamento. I giochi proposti sono sfidanti, richiedono il raggiungimento di piccoli obiettivi attraverso l’acquisizione, appunto, di competenze di autoregolazione emotiva (Schuurmans et al., 2018).
La VR si inserisce in questo ambito rendendo i “giochi” proposti ancora più attraenti, ecologici (cioè simili alla realtà) ed immersivi tanto da evocare in modo ancora più intenso le emozioni. Ciò permette di esplorare ed allenare con maggiore risonanza le competenze di autoregolazione emotiva (Colombo et al., 2019; Hadley et al., 2019; Carl et al., 2019; Tarrant et al., 2018; Anderson et al., 2013).
Numerosi sono quindi gli studi che hanno dimostrato la validità di questo approccio, evidenziando come la persona arrivi a modificare il modo di pensare e i comportamenti da disfunzionali e disadattivi a funzionali ed adattivi (Fitzgerald et al., 2019; Barnes et al., 2018; Lau et al., 2017; Scholten et al., 2017; Granic et al., 2014).