Quando il corpo “parla” di emozioni: cos’è il disturbo psicosomatico?
Qualche tempo fa è giunto in studio un paziente che, spiegandomi il motivo per cui si è rivolto a me, mi ha detto più o meno così: “Sono qui perché me lo ha detto il mio medico di base. Io soffro di gastrite e di reflusso. Prendo i gastroprotettori. Ho fatto gastroscopia e sono stato visto da un gastroenterologo che mi ha detto che non ho niente. Però io dopo che ho mangiato sento la pancia gonfiarsi tantissimo e spesso poi, ho dolori. Mi dicono che forse è ansia. Ma io non mi sento ansia. Cioè, sì, normale, come sempre. Ma io ho male allo stomaco. Quello lo sento. Per il resto sto bene e tutto va bene. Ma dicono che forse è tutto dovuto all’ansia. Può essere così?”
Sì, può essere così.
Può essere che un disagio psicologico si manifesti attraverso sintomi fisici. Si parla di somatizzazione, cioè di un processo che sta alla base del disturbo psicosomatico.
Cos’è il disturbo psicosomatico?
Il disturbo psicosomatico è uno stato in cui si sviluppano sintomi fisiologici (somatici) a fronte di situazioni di disagio emotivo e psicologico. Tale disturbo è più comune di quello che si possa pensare.
Barsky, in uno studio del 2005 che ha coinvolto circa 1500 pazienti in carico ai medici di base , osservò che il 20,5% di questi ha ricevuto una diagnosi di disturbo psicosomatico. Questi pazienti, rispetto a quelli senza disturbo psicosomatico, hanno effettuato, in generale, più accessi agli ambulatori dei medici di base e al pronto soccorso, hanno effettuato più visite specialistiche e hanno avuto più ricoveri ospedalieri (Barsky AJ et al., 2005).
Come si manifesta, dunque, il disturbo psicosomatico?
I sintomi psicosomatici si sviluppano come fisiologici associati, però, a situazioni emotive. Facciamo un esempio: se ci trovassimo di fronte ad una condizione di paura, per esempio se ci trovassimo “a tu per tu” con un leone, la nostra risposta fisiologica potrebbe essere di aumento della pressione sanguigna, del battito cardiaco o della frequenza respiratoria. Nel momento in cui lo stimolo pauroso sparisce, nel nostro caso se il leone dovesse allontanarsi da noi, l’attivazione fisiologica si ridurrebbe, fino a tornare a livelli “normali”. Cosa succede però, quando il nostro cervello vive in una costante situazione di paura, come nel caso dell’ansia patologica? Succede che lo stato emotivo continua ad influenzare lo stato fisiologico; si osserva, cioè, una persistente risposta fisiologica.
E’ come se il nostro cervello continuasse a “rispondere” come se ci trovassimo costantemente di fronte al leone, anche quando il leone non c’è. Il persistente stato di allerta (o iperarousal) comporta una continua e persistente risposta fisiologica del sistema nervoso autonomo.
Ecco perché, in caso di ansia patologica, è possibile osservare un aumento della pressione arteriosa o dei battiti cardiaci o, come nel caso del mio paziente, in una manifestazione a carico dell’apparato gastrico. Si osserva, cioè, una condizione di disfunzione o danno strutturale negli organi corporei attraverso un’inadeguata attivazione del sistema nervoso autonomo e della risposta biochimica in risposta a situazioni o eventi (Satsangi AK et al., 2018).
Ad oggi, i disturbi psicosomatici riconosciuti più frequentemente sono legati a stati depressivi e a stress ed ansia persistenti. Tali disturbi possono manifestarsi con dolore, ipertensione arteriosa, dispnea (mancanza d’aria), disturbi gastrointestinali, emicrania e cefalea muscolo-tensiva, dermatiti e fibromialgia. Questi sintomi somatici sono al centro dell’attenzione del paziente: pensieri, sentimenti e comportamenti ruotano attorno ai sintomi fisici, creando una distorsione nella percezione o nell’interpretazione stessa dei sintomi, al punto da andare ad interferire sul normale funzionamento di vita (DSM-V, 2013).
Cosa fare in caso di disturbo psicosomatico?
Data la distorsione nella percezione e nell’interpretazione dei sintomi somatici, il paziente con disturbo psicosomatico considera la propria malattia come un problema “squisitamente” medico. Pertanto può inizialmente essere restìo ad intraprendere un percorso psicoterapeutico. Tutto ciò è ancora più evidente nel caso in cui la persona non sia consapevole della correlazione tra malessere emotivo e disturbo fisiologico. Gli sforzi che egli mette in atto per discriminare il dolore “reale vs. irreale” o “fisico vs. psicosomatico” sono spesso infruttuosi e, in qualche modo, vengono vissuti come “sfida” del paziente per tentare di dare prova ulteriore della “realtà” della propria sofferenza (Satsangi AK et al., 2018).
L’approccio migliore nel trattamento del disturbo è quello che combina una terapia farmacologica ad una psicoterapia. Per quanto riguarda quest’ultima, gli studi hanno dimostrato che essa può essere efficace nel ridurre gli stati ansiosi e depressivi, nel migliorare l’elaborazione cognitiva e delle emozioni correlate ai sintomi somatici e nel mantenimento del funzionamento sociale e lavorativo (Erkic M et al., 2018; Krizanova O et al., 2016; Yates WR et al., 2016; Beltman MW et al., 2010; Bleichhardt G et al., 2005; Vasey MW et al., 2001; Prio M et al., 2000; Kagan J et al., 1999).
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