L’eredità psicologica del coronavirus

psicologia covid

Incertezza e imprevedibilità

La quarantena è finita. Questo è un pensiero che porta senz’altro una sensazione di sollievo, porta con sé l’idea che ne stiamo uscendo, che quell’essere invisibile e pericoloso stia perdendo potenza e se ne stia andando. Dall’altra parte però potremmo sentire dentro di noi un sottofondo di malessere, di un “sento che c’è qualcosa che non va ma non capisco cosa”.

Certo, non tutti. Ognuno avrà il proprio personalissimo modo di vivere la Fase 2. C’è chi reagirà riattivandosi subito e riadattandosi senza risentirne troppo, ma ci sarà anche chi, da tutte le restrizioni subite, ne uscirà disorientato o stravolto.
Le limitazioni subite hanno portato un senso di frustrazione, di noia, di paura, di rabbia e di non riuscire ad avere il controllo di ciò che sta succedendo.

Il convivere con l’idea che il pericolo è invisibile e ancor di più che può arrivare anche dalle persone con cui si hanno legami profondi, ci lascia increduli, confusi, smarriti e impauriti. Subentrano dei meccanismi psicologici che tentano di difenderci; a volte ci riescono, a volte diventano disfunzionali. La linea di confine tra “stress buono e stress cattivo” (eustress e distress) si assottiglia, tanto da poter osservare l’insorgere di sintomi legati a stati d’ansia, stati depressivi o disturbo post-traumatico da stress. Le nostre fragilità si amplificano tanto da rischiare di trasformare la paura in panico, o di perdere le proprie certezze, o di non riuscire ad immaginare (o sognare) come sarà il domani o di non riuscire a desiderare o riaccendere la scintilla della progettualità.

Cambiamenti e malesseri psicologici

Ci troviamo quindi a vivere una condizione psicologica complessa, fatta di tanti fattori nei quali possiamo, chi più e chi meno, riconoscerci:
la perdita di nuove routine da poco acquisite
– paura di nuovi contagi
– contatti sociali ridotti
– contatti fisici (come un abbraccio o una più formale stretta di mano) ridotti o paura dei contatti fisici
– sensazione di sentirci oppressi quando siamo in spazi ristretti
– incertezza sul futuro
– paura delle conseguenze lavorative e quindi economiche
E tutti questi fattori possono portare all’insorgenza di sintomi psicologici e sensazione di forte disagio interiore, quali:
sensazione di catastrofe imminente
insonnia
incubi notturni
irritabilità
agitazione psicomotoria
difficoltà ad uscire di casa
fobie specifiche
angoscia
malumore o pensieri negativi
perdita di interesse
affaticabilità
difficoltà a provare emozioni positive
L’incertezza e l’imprevedibilità generate dal coronavirus non solo minacciano la salute fisica delle persone, ma influiscono anche sulla salute mentale delle persone, soprattutto in termini di emozioni e cognizione. A sostegno di questo concetto esistono molte teorie (per esempio, la Teoria del rischio percepito di Slovich, 1987) che indicano come di fronte a situazioni di minaccia di malattia, le persone tendano a sviluppare emozioni negative ed errate valutazioni cognitive riguardo la situazione.

A queste, si affiancano comportamenti di evitamento (ad esempio, limitare i contatti con le persone) o di rispetto rigoroso di norme sociali. Tutto ciò avviene “spontaneamente” come meccanismo di “autoprotezione”: le emozioni negative e le valutazioni cognitive, tengono le persone lontane da potenziali fattori di rischio. Il problema si manifesta quando le persone reagiscono in modo eccessivo, sviluppando un’emotività esageratamente negativa o comportamenti evitanti eccessivi o troppo rigidi che compromettono i meccanismi fisiologici di elaborazione dell’accaduto.
Ecco perchè è essenziale osservare i potenziali cambiamenti psicologici causati dal COVID-19.

Chiedere aiuto

Quando si sente che c’è qualcosa che non va e che questo qualcosa si sta trascinando per lungo tempo o interferisce con il normale funzionamento di vita o sulla qualità di vita, è bene non far finta di niente pensando che “tanto è normale e passerà”. E’ opportuno ricordare che ci sono esperienze di vita che ci possono rendere più vulnerabili e che in queste situazioni è utile chiedere aiuto ad un professionista. Qualcuno che guidi nel processo di “metabolizzazione” di quanto è successo, o ci aiuti ad affrontare come ci sentiamo. In questo modo si evita che quei sintomi si cristallizzino e si radichino in profondità, riemergendo poi in futuro, amplificati. Si deve lavorare in modo che la persona rafforzi la sua capacità di vivere con maggiore distacco la causa del disagio, così che questa perda la sua carica emotiva e non generi più ansia o paura o altri sintomi destabilizzanti.

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